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Pluralismo religioso, Intercultura nello scoutismo. Prima parte

da | Giu 21, 2017

Con questa serie di articoli, vogliamo dare il nostro contributo al problema del pluralismo religioso all’interno dello Scoutismo. Cosa accade se un ragazzo o un Capo di un’altra religione aderisce ad un’associazione scoutistica cattolica (ad esempio)? Quali sono le dinamiche che si prospettano e quali le soluzioni? Cosa ci dice il fondatore e cosa ci consiglia? Il problema è tutt’altro che scontato e le associazioni scoutistiche, a nostro modo di vedere, dovranno prepararsi a un’eventualità del genere, senz’altro non più così remota. Lo Scoutismo ha già in sé tutte le potenzialità di affrontare una simile sfida di integrazione, anche perché nacque proprio (anche) per questo.
Ogni due giorni circa aggiorneremo gli articoli, dando spazio alla seconda, terza, quarta parte e così via. E’ un modo per rifletterci insieme, un modo per ragionare su un problema che, nei nostri giorni, si propone come sfida e come interrogativo alla nostra società, sempre più multietnica e multiculturale.
Prima di iniziare: purtroppo, in queste pagine, non possiamo inserire le note di rimando alle fonti, poiché la piattaforma non ce lo consente. Di volta in volta, se servirà, potrete chiederci da dove abbiamo estrapolato un determinato pensiero o citazione: saremo lieti di rispondervi. Le note esplicative, invece, saranno inserite nel corpo del testo che, per questo, magari potrà risultare meno scorrevole, con la nota positiva, però, che nulla andrà perso durante il corso di esplicazione.
Questo contributo è un approfondimento del CENTRO STUDI “MARCELLO LAZZERONI” in seno al Clan Francescout di Giunglasilente.le_saux

PRIMA PARTE: UNA NECESSARIA PREMESSA

Parlando di Scoutismo, non possiamo che definirlo un movimento educativo religioso. Non è possibile infatti parlare di esso precludendone la sfera della religiosità che non è un elemento in più, quasi di cornice, che si possa togliere o far rimanere a seconda della sensibilità dell’educatore, ma ne è un elemento intrinseco e imprescindibile, senza di cui addirittura non si potrebbe parlare di Scoutismo in modo proprio. Quest’affermazione potrebbe far storcere la bocca a chi afferma e sostiene uno “Scoutismo laico” inteso come “aconfessionale”, ma aldilà della sua digeribilità, non si tratta di una questione di punti di vista, ma dell’oggettività dell’idea che ebbe in mente il fondatore del Movimento, Lord Robert Baden Powell.
A supporto di quanto sopra esposto abbiamo una molteplicità di fonti , che non possiamo citare completamente per mancanza di spazio, sia la Promessa e la Legge, quelle originali, dettate da B.P. Per fare un esempio, la promessa dello scout è la medesima per tutti e inizia, non a caso, con le parole: “con l’aiuto di Dio”, proseguendo con: “prometto sul mio onore di fare del mio meglio per compiere il mio dovere verso Dio e la patria, per aiutare gli altri in ogni circostanza e per osservare la Legge Scout” . Da subito, la figura di Dio appare già due volte. Lo Scout che promette secondo la Promessa dettata da B.P., aderisce alla fede in Dio, in qualsiasi modo lo si concepisca. B.P., da protestante figlio di un pastore protestante, pur credendo al Dio Cristiano e a Gesù Cristo, a cui si richiamò spesso, non pensò però al Dio che lui conosceva, per il suo Movimento: infatti lo Scoutismo fu concepito come un qualcosa che doveva travalicare anche le frontiere della religione, dove ad unire le molteplici sensibilità e i molti modi di concepire la divinità, era la comune idea di Dio. La formula funzionò anche per le forme di politeismo come quello indù, perché comunque anche queste elevavano il proprio spirito verso il trascendente.
A titolo di completo scanso di equivoci, poi, urge citare il seguente pensiero dello Chief:

Mi è stato chiesto di descrivere più approfonditamente ciò che avevo in mente per quanto concerne la religione quando fondai lo Scautismo ed il Guidismo. Mi è stato chiesto: «Come c’entra la religione?». La mia risposta è stata che la religione non ha da «entrarci», perché è già dentro. Essa è il fattore fondamentale che pervade lo Scautismo ed il Guidismo.

Qualora quest’affermazione possa risultare frutto di un caso, elenchiamo qui sotto un altro scritto:

Non c’è un lato religioso del Movimento. L’insieme di esso è basato sulla religione, cioè sulla presa di coscienza di Dio e sul suo Servizio.

Parlando poi del servizio alla Patria, sostantivo altisonante che oggi in certe promesse è stato “levigato” fino a trasformarlo in “proprio Paese”, bisogna sottolineare che detta parola non fu intesa in senso militaristico e che spesso al posto di Patria, facendolo apposta, egli utilizzò la parola “regno”, sia per indicare il regno d’Inghilterra, che all’epoca era una grande potenza coloniale, sia per giocare con le figure del “regno dell’uomo” e del “Regno di Dio”:

Lo scopo del movimento degli Scouts e delle Guide è oggi generalmente inteso come quello di formare cittadini felici, sani e disponibili ad aiutare il prossimo. In questa epoca materialistica, con piaceri e distrazioni sempre più alla portata di tutti, la formazione dello spirito sta diventando sempre più difficile ed è troppo spesso trascurata. Il nostro obiettivo nel movimento scout è di contribuire come possiamo a realizzare il regno di Dio sulla terra dando ai giovani lo spirito e la pratica giornaliera, nelle loro vite, di una buona volontà e spirito di cooperazione altruistici.

Il Regno di Dio, negli scritti di B.P., ovviamente suscitato dai precetti evangelici, travalica quello degli uomini e servire onestamente il proprio paese, nella dimensione dell’altro e del servizio (“servire” è il motto dei rover e delle scolte) significa dare il proprio piccolo apporto per la realizzazione di un Regno ben più grande di qualsiasi regno umano. Nel suo “taccuino”, B.P. annota un detto di un tale reverendo Alfred Wishart:

«L’uomo è in gran parte responsabile della vita della società, e se quella vita produce guerre, povertà, criminalità e malattie è dovere dell’uomo rimediare a questi mali che generano l’umana miseria. Ma è rarissimo che i diversi agenti del male umano ammettano la loro responsabilità, giacché il mondo è stato indotto a pensare che Dio deve salvare e Dio deve soccorrere. L’abitudine a dare la responsabilità a Dio per condizioni di vita per le quali in realtà sono responsabili gli uomini inganna l’umanità e rinvia l’adozione di rimedi adatti» .

Questo testo inquadra il pensiero di B.P. nell’alveo dei precetti evangelici, dove la giustizia sociale è il primo mattone per costruire il Regno di Dio: un regno dell’uomo giusto può e deve rispecchiare quello del sempiterno. L’invito del generale inglese a “lasciare il mondo un po’ migliore di come lo si trovò” si incrocia con il bisogno di una giustizia sociale che però non è fine a sé stessa nel senso marxistico: in B.P. l’uomo non rimanda solo all’uomo, ma trascende le azioni che fa per la realizzazione del Regno di Dio, tanto proclamato da Gesù di Nazareth. Un altro bellissimo passo di un altro appassionato libro del Capo Scout del mondo fa sorridere per la sua semplicità, mista a una profondità di pensiero unica nel suo genere e condita da un sano humor prettamente inglese:

Un ragazzo giudicato incorreggibile fu portato un giorno davanti ad un tribunale; per giustificarsi disse che la colpa era di Dio: «Se Dio non avesse voluto che io fossi cattivo, mi avrebbe salvato e reso buono». Questo fatto mi ricorda uno dei capi Boeri, che quando fu catturato dalle nostre truppe, inveì contro il presidente Kruger, perché non gli aveva fornito sufficienti artiglierie. Disse che quando le aveva chieste il Presidente gli aveva dato questa caratteristica risposta: “Se Dio vuole che noi vinciamo la guerra, vinceremo, sia con l’artiglieria che senza”. A questo egli aveva replicato: “è vero. Però Dio vi ha dato uno stomaco con il quale potete gustarvi un’oca arrostita; ma suppone che l’oca la spenniate e cuciniate voi”. Niente di più vero: Dio ci ha dato in questo mondo tutto ciò che serve per poter godere la vita, ma sta a noi lo sfruttare queste possibilità oppure compromettere tutto. Dato che abbiamo poco tempo per vivere, è essenziale compiere azioni che abbiano valore, e compierle ora. Un primo passo è quello di non accontentarci di avere una vita e delle idee interamente limitate alla calce e ai mattoni, al commercio e alla politica, all’accumulare denari e altre cose effimere create dall’uomo e senza alcuna importanza. Ma dobbiamo guardarci attorno e cercare di scoprirle nel modo più completo possibile le meraviglie della natura, conoscere quanto più possiamo del mondo e delle sue varie bellezze, delle cose interessanti che Dio ci offre; facilmente capiremo quali cose siano utili e quali no per una vita felice. Nel mio caso, da anni mi vado dicendo: “fra tre anni sarò morto; quindi devo fare questo e portare a termine quello, altrimenti sarà troppo tardi!”. Questa abitudine mi ha scosso e mi ha spinto a fare subito delle cose che il giorno dopo forse non avrei fatto. Tra l’altro – e me ne trovo contento – mi ha condotto a visitare varie parti del mondo senza il fatale attendere un’occasione migliore. In una specie di sogno ad occhi aperti una volta mi è sembrato di essere morto e di arrivare alla porta di S. Pietro, il quale mi domandò gentilmente: “Ti è piaciuto il Giappone?”-“Il Giappone? Ma io vivevo in Inghilterra”. “Ma cosa facevi durante la vita, in quel magnifico mondo, con tanti luoghi meravigliosi, posti laggiù per renderti migliore? Hai sciupato il tempo che Dio ti ha dato per impiegarlo?”. Così andai subito in Giappone .

Baden Powell ebbe una vita avventurosa e la sua energia, la vitalità e la voglia di vivere e di farcela, gli fece guadagnare un soprannome da parte delle tribù Zulù che egli combatté, ma che rispettò sempre per il loro modo di essere: Impeesa, il “lupo che non dorme mai”. Avventuriero, pedagogo, filantropo, artista, fondatore di un metodo educativo che meritò gli elogi di scienziati della risma di Pierre Bovet e di Maria Montessori; tutto quello che fece e che disse, però, fu improntato ad un unico scopo: Dio. Tutto questo florilegio di citazioni, quindi, per quanto abbastanza lungo (ma assolutamente incompleto) serve per porre un importante fondamento, purtroppo non sempre scontato, visto il fiorire di realtà scout che non si pongono il problema di Dio o che per paura di porselo, vivono uno Scoutismo, per quanto bello, sano e stimabile, etsi Deus non daretur. Lo Scout è religioso e ascolta la voce di Dio e per fare questo passa attraverso la bellezza del creato che già da solo pone un profondo interrogativo su “ciò che è”. Lo Scout richiama l’immagine del cavaliere medievale , dell’eroe senza tempo che sta nel tempo, dei guerrieri zulù, ashanti o matabele che nelle loro concezioni religiose tribali, avevano comunque un rapporto profondo con Dio, rispettando profondamente l’ambiente in cui vivevano in perfetta simbiosi, perché la natura richiamava all’idea del sacro e del trascendente. Nell’esperimento del 1907 presso l’Isola di Brownsea, i venti ragazzi che erano stati trascinati nel primo campo scout di tutte le estrazioni sociali e comunque abituati al frastuono delle città, oltre al gusto dell’avventura sentirono acceso in loro il bisogno di allacciare un rapporto particolare con qualcosa o qualcuno che fino a quel momento non avevano sperimentato nella loro vita, ma che ora sussurrava loro tramite la bellezza del creato. Lo Scoutismo religioso e la sua ombra, quella dello Scoutismo “laico”, ateo o agnostico, in forza di questo devono saper dialogare, nella certezza che prima o poi il sole della vita, raggiunto lo zenith, saprà ricongiungere le parti di una medesima realtà.

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