Diaconia, koinonia, martyria e liturgia dovrebbero essere i cardini intorno a cui dovrebbe ruotare la parrocchia e di questo parla diffusamente Emilio Alberich nel suo libro. L’azione pastorale delle parrocchie è diventata intra-ecclesiale e centripeta e “in un certo senso viene rovesciata la logica della parabola evangelica della pecorella smarrita: si prodigano attenzioni all’unica pecora rimasta nell’ovile trascurando le novantanove che si sono perse fuori” . La Chiesa che non è missionaria non è Chiesa. Il modello di parrocchia, così come è concepito, con il suo modello di catechismo di emergenza, non si attaglia più alle domande dei fedeli che, vistisi “tradire” dalla propria istituzione locale di riferimento, preferisce ritirarsi in un solipsistico individualismo spirituale, nella convinzione che si può credere in Dio senza passare per la fallace e troppo umana istituzione della chiesa locale, troppo impregnata di piccoli e frustrati arrivismi e di un litanico salmodiare e sgranar rosari, la cui voce si spegne dal di fuori, appena si chiude il portone della chiesa parrocchiale. Dentro c’è il parroco che officia la Santa Messa con quattro vecchiette e fuori del tempio c’è un mondo che si affanna e vive la sua vita etsi Deus non daretur. Fatto sta che, alla fine dei conti, il mondo non accetta più la “moralina” da parte di una parrocchia che sa solo additare il mondo, ma che non sa guardare ai propri errori e ai propri limiti, che rispecchiano quelli della società che essa stessa condanna. E siamo d’accapo.
Nel tempo presente diverse e variegate sono le immagini che la gente ha dell’istituto parrocchiale, così come differenziato e complesso è il rapporto che si vive con esso. Per prendere coscienza della situazione non c’è bisogno di andare a cercare lontano, basta guardarsi attorno, anche se riuscire a focalizzare tale realtà non è facile. Si tratta di un complesso di concezioni e quindi di atteggiamenti dalle mille sfaccettature che permette addirittura in alcuni casi di parlare della Chiesa di oggi come di “Chiesa di pagani”. Oltre ai “pochi” che sulle piste del Concilio vivono un rapporto di correponsabilità pastorale nell’ambito parrocchiale, la maggior parte degli uomini del nostro tempo sembra risentire, in modo estremamente negativo, delle situazioni nuove che, a livello sociale e politico, sono emerse negli ultimi anni. Tali situazioni hanno messo in luce, infatti, inquietudini, difficoltà, problemi prima sconosciuti, sempre in rapida e crescente trasformazione, che coinvolgono e inglobano inevitabilmente anche il rapporto dell’uomo con la Chiesa e quindi in ultima analisi con la parrocchia che è e rimane la realtà ecclesiale più immediata di confronto e di relazione. Tutto sommato è nella parrocchia che si prende coscienza di essere Chiesa e si fa concreta esperienza di Chiesa. Ma una percentuale piuttosto considerevole di persone contemporanee non sembrano in verità ispirarsi all’immagine di Chiesa proposta dal Concilio Vaticano II. Sembrano, semmai, modellarsi a visioni di Chiesa anomale, stereotipate, superate ad oltranza. Al di là delle facili generalizzazioni e delle indebite semplificazioni, possiamo riassumere i modi errati – e purtroppo diffusi – di concepire oggi la parrocchia in tre modelli principali:
– il modello della staticità a-storica;
– il modello della ritualità magico-sacrale;
– il modello del culturalismo etico.
Cercando di spiegare i tre punti posti dall’autore delle “cinque piaghe della parrocchia italiana”, la parrocchia (e con essa, la Chiesa in generale) rischia di incarnare quell’accusa che da sempre muovono gli anticlericali: quella di essere statica, immobile a sé stessa e non al passo coi tempi, cosa che sradica la Chiesa stessa dalla sua storicità, facendola diventare un’istituzione a-storica e miope. Vi è poi il modello di parrocchia vista come “lampada di Aladino” da strofinare al momento del bisogno per soddisfare pruriti metafisici o semplicemente per ottenere qualche certificato. Insiste infine il modello del culturalismo etico che riduce la parrocchia a una semplice agenzia di educazione civica, che non fa nemmeno eco a quello “state buoni se potete” di San Filippo Neri. Quella parrocchia che dovrebbe seguire l’etimologia fondante del “parà-oikia” (presso le case) è invece un fantasma di antiche vestigia che fa tutto tranne che bussare alle porte dei propri fedeli. A far quello, infatti, ci sono già i testimoni di Geova. Karl Rahner, in Sollecitudine per la Chiesa, affermava: “una parrocchia moderna deve certamente tenere le porte aperte, non deve trascurare i cristiani che cercano, le persone che mantengono un rapporto solo parziale e condizionato verso il cristianesimo e la Chiesa, non deve diventare un ghetto di pochi cristiani devoti, provenienti da un ambiente sociale ben definito e delimitato, che vivono al riparo della cultura, della società e della politica con uno stile settario e piccolo borghese”. E se Karl Rahner dovesse rimanere sullo stomaco a qualcuno, è utile allora citare Papa Paolo VI che ebbe a dire: “Come Cristo durante il tempo della sua predicazione, come i dodici al mattino della Pentecoste, anche la Chiesa vede davanti a sé una immensa folla umana che ha bisogno del Vangelo e vi ha diritto, perché Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (1 Tm 2,4). Conscia del suo dovere di predicare la salvezza a tutti, sapendo che il messaggio evangelico non è riservato a un piccolo gruppo di iniziati, di privilegiati o di eletti ma destinato a tutti, la Chiesa fa propria l’angoscia di Cristo di fronte alle folle sbandate e sfinite “come pecore senza pastore” e ripete spesso la sua parola: “sento compassione per questa folla” (Mt 9,36; 15,32)” .
La gente non è più curiosa di cosa dirà il prete all’omelia della Messa Domenicale; “un tempo il campanile era il normale punto di riferimento del paese e la Chiesa il luogo più abituale di aggregazione sociale, ma oggi tutto ciò non è più vero. Non è più sufficiente “suonare le campane”: gran parte degli abitanti continuerà a rimanere distante ed estranea all’annuncio evangelico. Occorre invece farsi vicini alla gente, andando a cercarla là dove vive per assumerne i valori, problemi ed esigenze” .
Se la parrocchia è la Chiesa posta in mezzo alle case degli uomini, essa vive e opera profondamente inserita nelle società umana e intimamente solidale con le aspirazioni e i suoi drammi. Spesso il contesto sociale, soprattutto in certi paesi e ambienti, è violentemente scosso da forze di disgregazione e di disumanizzazione: l’uomo è smarrito e disorientato, ma nel cuore gli rimane sempre più il desiderio di poter sperimentare e coltivare rapporti più fraterni e più umani. La risposta a tale desiderio può venire dalla parrocchia, quando questa, con la viva partecipazione dei fedeli laici, rimane coerente alla sua originaria vocazione e missione: essere nel mondo “luogo” della comunione dei credenti e insieme “segno e strumento” della vocazione di tutti alla comunione; in una parola, essere la casa aperta a tutti e al servizio di tutti .
La Chiesa, allora, non è tutta ministeriale. Del resto la Costituzione Dogmatica Lumen Gentium parla chiaro: tutto sgorga dal Popolo di Dio, che allora deve non solo essere coinvolto nella vita della Chiesa, ma deve esserne protagonista.
I laici, radunati nel popolo di Dio e costituiti nell’unico corpo di Cristo sotto un solo capo, chiunque essi siano, sono chiamati come membri vivi a contribuire con tutte le loro forze ricevute dalla bontà del Creatore e dalla loro grazia del Redentore, all’incremento della Chiesa e alla sua continua ascesa alla santità. L’apostolato dei laici è quindi partecipazione alla stessa salvifica missione della Chiesa, e a questo apostolato sono tutti destinati dal Signore stesso per mezzo del battesimo e della confermazione (…) Grava quindi su tutti i laici il glorioso peso di lavorare, perché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno di più tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra .
È allora tempo di riconsegnare nelle mani dei laici ciò che spetta loro per diritto e per dovere battesimale: la vocazione non solo ad essere, ma a “fare la Chiesa”. Il laicato va quindi nuovamente istruito in merito, va nuovamente inculturato sul proprio ruolo e sulla propria necessaria opera di edificazione e riedificazione dell’unica Chiesa, dove molti sono i carismi e le chiamate, come molte le membra dell’unico Capo, che è Cristo. Ma tutto questo non s’improvvisa dall’oggi al domani.