Non sappiamo se sia un velo di tristezza, di nostalgia o di memoria innamorata e grata: non ce lo chiedete. A otto anni dal ritorno alla Casa del Padre di Lupo Grigio, però, dobbiamo almeno operare un bilancio di quello che eravamo quando nascemmo come clan, cercando di capire chi siamo oggi.
Non è facile comprendersi come persone, nel senso che ci si mette una vita a conoscere chi siamo veramente: l’oracolo di Delfo ce lo ricorda da secoli con il suo monito “conosci te stesso”. A maggior ragione si fa ancora più fatica a comprendersi come realtà composte da più persone che cercano di perseguire lo stesso ideale, lo stesso scopo.
Spesso è più facile chiudere gli occhi e non domandarsi nulla, rimanendo nel proprio alveo, continuando a fare la vita che si è sempre fatta, cercando di ignorare le istanze interne e soffocando le proprie domande. Spesso non alzare la testa ci permette di non vedere l’orizzonte e di non domandarci cosa ci sia più in là.
Così noi: avremmo potuto rimanere nel contesto scoutistico dove siamo nati e dove per molti anni siamo cresciuti, avremmo potuto continuare a camminare insieme al nostro primo gruppo di appartenenza a cui sono legati moltissimi ricordi di moltissimi anni di scoutismo vissuto sulla pelle. Avremmo potuto in qualche modo dedicarci alla nostra realtà paesana di origine, avremmo potuto continuare a fare quello che avevamo sempre fatto.
A un certo punto, per il bene del nostro gruppo di origine, ne fondammo un altro in un paese vicino: abbattemmo ogni campanilismo tra i ragazzi e cercammo di far marciare i due gruppi parallelamente, formando una realtà quasi unica, numerosa e gioiosa. Era il 1997.
Se ci guardiamo indietro abbiamo tanti ricordi da condividere: tante lotte, tante gioie, tanti momenti di fratellanza vera e sentita.
Non dovevamo andare più in là: eravamo capi unità, aiuti capo, capi a disposizione a seconda delle necessità. Facevamo “del nostro meglio” per una realtà circoscritta, per cercare di fare qualcosa di buono per la gioventù locale. Non sono queste le giuste istanze di un Capo Scout? Non deve forse “servire” nel proprio territorio di appartenenza?
Mai ci saremmo immaginati che nel 2001 avremmo nostro malgrado spiccato un volo che ci avrebbe fatti volare lontano, che ci avrebbe fatto perdere il nido e che non ci avrebbe mai più riportati nel luogo da cui partimmo un di’.
Era nata la giungla, quella Giunglasilente che mai ci eravamo sognati di fondare. La giungla era nata, si, ma la piena consapevolezza di noi stessi era ancora in fasce, ancora cieca, ancora nel pieno domandarsi su sé. Ci eravamo staccati dal cordone ombelicale e pensammo che sicuramente la nostra istanza era quella di fondare un altro gruppo ancora che rispondesse a quelle esigenze metodologiche così tanto agognate. E gruppo fu. Fondammo il gruppo “Annibale Barca” nella località Borghetto di Tuoro (Pg), aprendo un folto branco di lupetti. Furono quasi tre anni di programmazioni, di lotte e di soddisfazioni. Ma a un certo punto il nostro Lupo Grigio si sentì male e dovette ritirarsi per più di un anno dalla prima linea educativa. In più altri aiuto capo non se la sentirono di continuare, perché lo Scoutismo che proponevamo era molto esigente. Fu Lupo Grigio a sostenere per primo che non era quella la nostra strada, che non dovevamo fondare un nostro gruppo, che nonostante i lupetti fossero sempre di più e che ormai alcuni dovevano passare esploratori, dovevamo lasciare e volare altrove, perché la Giungla era nata per altro.
“Per altro? E per cosa?” – Eravamo esterrefatti, atterriti. Cosa dovremmo fare, se non i Capi all’interno di un gruppo? Lupo Grigio ci guardava e ci chiedeva di pregare e di cercare nei segni dei tempi la volontà di Dio. Cosa stava dicendo il nostro Marcello, colui che era rimasto per oltre cinquant’anni a capo della realtà scoutistica passignanese? Se dopo tutti quegli anni aveva deciso di staccarsi, c’era più di un perché ed uno di questi motivi era appunto quello per cui dovevamo camminare unicamente con le nostre gambe, perché dovevamo servire altrove.
Quando ci si trova nel deserto, è proprio lì che dobbiamo cercare le risposte. Ci sono due modi per morire nel deserto: quello di mettersi a correre sperando che quella distesa di sassi e sabbia finisca il primo possibile, cadendo dopo poche centinaia di metri stremati, oppure mettendosi a sedere dicendo a sé stessi: “è finita”. Il miglior modo per uscirne fuori è trovarsi un riparo di giorno e camminare di notte, spostandosi tra un’oasi e l’altra. Il deserto farà morire l’uomo vecchio e farà nascere l’uomo nuovo. Il sudore scremerà l’eccesso, quello che non serve, quello che bisogna perdere, per trasformare la crisalide in farfalla. Il deserto è lotta per la sopravvivenza: o muori o ne esci ritemprato in corpo e spirito.
Sostammo per lungo tempo nel deserto, cercando la nostra stella cometa. Non ci saremmo mai immaginati che il nostro viaggio non sarebbe più terminato: nel cammino abbiamo incrociato la strada di molti fratelli e sorelle; in molti hanno marciato insieme a noi e poi hanno deciso di battere altri sentieri o strade. Noi non abbiamo mai avuto né strade né sentieri, ma solo deserto e dune. La strada ce la siamo aperta sempre da soli. E stiamo continuando a farlo, sotto il sole cocente della storia. Non è facile mettersi in discussione tutti i giorni, non è facile fare il punto della situazione nella mappa della propria vita tutti i giorni. Ci siamo però resi conto, sulla nostra pelle, di ciò che significa “essere pionieri”, “uomini e donne dei boschi”, persone che sono chiamate a sperimentare sempre cose nuove prendendo come punto di partenza una Tradizione che ormai ha superato i cento anni di storia. Se il sole della storia infatti ci brucia la pelle, l’ombra del passato ci dà frescura e ci accompagna.
Non è facile star soli con sé stessi. Non è facile non avere mai un nido o una tana. Del resto se hai un nido o una tana, sei costretto a ritornare sui tuoi passi, prima o poi, proprio perché hai una base sicura dove poterti rifocillare. Il Signore invece ci tolse anche quello, ci sradicò completamente appunto perché dovevamo continuare a camminare, a sperare, a lottare e a conoscere persone e realtà sempre nuove. È solo così che ci si arricchisce veramente: impoverendosi di ciò che non serve.
Il biennio 2005-2006 vide Lupo Grigio e il suo compare Capovaccaio Burbero sempre in missione in giro per l’Italia, a far conoscere lo Scoutismo originario ai gruppi che chiamavano Giunglasilente chiedendo il suo aiuto. L’agenda era sempre piena e le due estati videro i due fratelli sempre in giro per i campi estivi a visitare quel gruppo o quell’altro, dal nord al sud dell’Italia. Eravamo randagi, liberi e felici. Scoprimmo nuove realtà, nuove associazioni, nuove persone e problemi nuovi. Allargammo il nostro punto di vista, volammo in alto per sondare una panorama sterminato. Ogni tanto il nostro volo si posava, rimanevamo qualche tempo e di nuovo spiccavamo il volo.
Per tre anni ci toccò pure l’inaspettata esperienza di gestire una base scout nautica a Passignano Sul Trasimeno e quello pure fu un periodo davvero pieno, dove conoscemmo ancora più persone. A distanza di anni dalla chiusura, ogni anno ci scrivono numerosi gruppi che vorrebbero venire o tornare da noi. Chiudere quella base scout fu un vero peccato e chi se ne volle disfare non si rese conto della ricchezza umana e spirituale che essa poteva portare ulteriormente. Del resto noi non abbiamo nulla di nostro ed è per questo che continuiamo ad essere liberi.
Ormai era chiaro: la Giungla doveva volare dove ce n’era bisogno ed era chiamata a servizi a talmente ampio respiro che avere un gruppo avrebbe significato stare in una specie di prigione dorata che non ci avrebbe permesso di fare quello che abbiamo fatto fino ad ora. Eravamo insieme, eravamo fratelli e quando ci voltavamo c’erano sempre dei fratelli o delle sorelle che seguivano le nostre orme, come ce ne sono tuttora.
Il tempo passava ed arrivò il fatidico 30 giugno del 2009. Lupo Grigio lasciò non solo il suo clan, ma la sua Associazione che suo malgrado aveva dovuto fondare il 28 settembre del 2008. Eravamo solo dei Capi Unità, degli Aiuto Capo, dei Capi a disposizione. E mai ci saremmo immaginati di dover fondare un’Associazione Scoutistica per forza di cose. Quando fondammo Giunglasilente volevamo un gruppo tutto nostro. Nostro Signore ce lo tolse, perché dovevamo seguire un’Associazione Nazionale. Perché tutto questo?
Il 30 giugno 2008 Lupo Grigio spiccò il suo ultimo volo, pochi anni dopo che era tornato alla Casa del Padre il suo maestro Lupo Nero da Foligno, l’immenso Alberto Rondoni. Ci ammutolimmo, ci sentimmo nuovamente abbandonati senza una guida scoutistica, morale e spirituale così profonda e sicura. Le ultime sue volontà furono che il suo clan e la sua Associazione dovessero proseguire il loro cammino, il loro sogno, la loro lotta, la loro esistenza. La Giungla tacque e l’aquila si posò, guardandosi intorno. Marcello, il nostro Lupo Grigio, era stato capace di scrivere una storia scoutistica a Passignano Sul Trasimeno, lasciando un’impronta indelebile; parimenti era riuscito, una volta esaurito il suo mandato, a vergare altre pagine storiche aprendo un clan tanto modesto quanto profondo. La quercia della Giungla, con lui, aveva messo radici profonde, l’albero era cresciuto e aveva fatto nascere delle ghiande sparse in molte parti d’Italia, dove taluni fratelli portano il nostro bel fazzolettone e possono dire: “Io sono della Giungla!”. E costoro sanno che per farne parte si deve aspettare per anni, soffrire e lottare, dando “prova provata” di poter sopportare il giogo di un fazzolettone così pesante, così carico di eredità.
Il ritorno alla Casa del Padre di Lupo Grigio ha segnato una prova tremenda che ci ha forgiato sotto un ennesimo fuoco purificatore. Di nuovo deserto, di nuovo solitudine, di nuovo a dover indossare i calzari e andare avanti per le polverose vie del deserto, lasciando il corpo di un fratello indietro, ma portandone l’anima e l’eredità addosso. In suo nome e ricordo fondammo un piccolo Centro Studi che ha già sfornato buon materiale e il suo materiale, assieme al suo ricordo, ci serve per farlo parlare ancora, per cercare di capire che cosa oggi egli vorrebbe da noi.
Altre persone, nel frattempo, ci siamo lasciati alle spalle e nuovi fratelli e sorelle si sono aggiunti. Altro elemento caratteristico: la nostra instabilità contraddistingue continuamente la nostra stabilità. Non dobbiamo mai fermarci, non dobbiamo mai riposarci, non dobbiamo mai sostare, dobbiamo sempre donare quello che nel tempo abbiamo incamerato, svuotandoci e svuotandoci nuovamente di tutto. Dono di Lui e del Suo Immenso Amore….
Il nostro “vecchietto” se n’era andato e ora la guida del clan era completamente nelle mani di Capovaccaio Burbero, che dovette tenere sempre presente questo Dono di Dio: possedere nulla per donare tutto, mettere radici da nessuna parte per dover andare dappertutto, essere soli o in pochi per poter essere disponibili per molti, malgrado tutto…
Sapevamo che il nostro “vecchietto” portava sulle spalle un’eredità pesantissima; con la sua morte, quest’eredità passò tutta e solo sulle spalle di Capovaccaio Burbero che si ritrovò a dover camminare facendo sprofondare i piedi ancor di più sulla sabbia della storia. Da quel momento fu molto più difficile e oneroso marciare, da allora quella tomba è diventata meta di pellegrinaggio di chi conobbe questo “piccolo, grande uomo” che non ha dato solamente tanto, ma ha dato tutto.
Anno dopo anno, siamo ad otto anni dalla morte di Lupo Grigio. Dono di Lui.
Quanto è difficile accogliere i doni di Dio, quanto sono pesanti e incomprensibili, a volte! Quanto è difficile raggiungere la perfetta laetitia nel senso stretto delle fonti francescane. Quanto è difficile seguire la volontà di Dio e, spesso, comprenderla. Abbiamo consumato gli scarponi, ma Egli ci chiede ancora di camminare e di andare avanti con le nostre sole forze. Perché? Dono di Lui.
E di nuovo quest’espressione. A un certo punto del deserto ci siamo trovati a camminare insieme ai frati francescani. Per sette anni… Questo cammino e questo viversi vicendevolmente ci ha ulteriormente scremati e rinnovati, nuovamente esposti al fuoco dell’umiltà, nuovamente fatti raffreddare nella fresca acqua della Grazia. Eravamo partiti con l’uniforme scout: ora ci troviamo ad essere Francescout. Gli scarponi ora lasciano spesso lo spazio ai sandali e la nostra sede spesso è quella di qualche convento francescano. Una nuova prova, una nuova consapevolezza, nuovi fratelli e sorelle che si aggiungono a una storia itinerante, una nuova vita dal 2015, tutto Dono di Lui.
Nel frattempo il tempo continua a passare e panta rei. Di nuovo Giungla, di nuovo strada, di nuovo prove e nuove scommesse, di nuovo genti nuove, di nuovo l’impegno, di nuovo il doverci mettere in discussione a distanza di sedici anni dalla fondazione di Giunglasilente e a distanza di otto anni dalla morte di Lupo Grigio.
Di nuovo dar tutto dall’aver niente,
di nuovo noi di Giunglasilente,
in tempi luminosi e in tempi bui,
Dono di Lui…
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