Questo scritto, è una testimonianza di guerra molto commovente che, in maniera incisiva e a tinte forti, proclama a gran voce il valore della fraternità scout internazionale
Una volta fummo attaccati da un battaglione inglese dei granatieri della Regina, bei soldati davvero: contrattaccammo; gli Inglesi sparavano maledettamente; ritornammo alla nostra posizione; il contrattacco non era riuscito.
Mancava il tenente. Due dei suoi soldati uscirono a cercarlo verso il luogo dove doveva essere caduto. Lo trovarono… Accanto a lui un soldato inglese era in ginocchio e, in silenzio, gli teneva il capo sollevato. I soldati ristettero timorosi di non turbare il morente. Egli tentò di sollevarsi, poi, lentamente, si tolse la cinghia e la donò all’Inglese, poi in silenzio gli strinse la mano e… trapassò sorridendo: sembrava col sorriso rievocare visioni lontane della fanciullezza, visioni di una fratellanza resa più vera nell’ora del trapasso.
I due soldati rientrarono col corpo del tenente e raccontarono che il soldato inglese, dopo aver composto il cadavere dell’ufficiale italiano caduto, aveva salutato con tre dita della mano destra riunite… e ripeterono il saluto che io ho visto fare agli esploratori…”
“Avevo il comando di una compagnia a Mareth; fra gli ufficiali c’era un tenente, alto, bruno, di una forza e di una resistenza alle fatiche rare a trovarsi. Era sempre calmo e sereno ed era molto benvoluto dai soldati… Usava una cinghia di cuoio con la fibbia scout, proprio come la tua e quando era in maniche di camicia, durante la giornata la teneva sempre in vista. Un giorno, quasi per stuzzicarlo, gli chiesi il significato di quel fiordaliso e di quel motto latino (Estote Parati): egli mi parlò di Promessa, di antichi cavalieri, di un programma meraviglioso per un giovinetto; io poco capii e lasciai cadere la conversazione.