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LA FIBBIA SCOUT

da | Gen 7, 2022

Quando facemmo la Promessa, i nostri capi inglesi, Capitano Willy e tenente George, salutarono per la prima volta la bandiera italiana.

Chiedemmo loro perchè prima non lo avessero mai fatto, e i due risposero che, a seguito della nostra Promessa, noi eravamo entrati a far parte della grande famiglia degli esploratori: il loro saluto era stato uno spontaneo omaggio alla bandiera dei nuovi fratelli, e col saluto era dovuto il rispetto per tutto ciò che ci fosse caro. Ciò per quella fraternità che implica una completa e concreta solidarietà che si crea tra scout e che non conosce limiti di razza, di spazio e di tempo.

Come era solito fare, il Capitano Willy trasse subito spunto dall’episodio per farci comprendere la lezione e ci raccontò la storia della fibbia.

La vicenda della “Fibbia Scout” è comunemente conosciuta nella versione di “parte italiana” (quella trascritta anche nel libro “Fuoco di Bivacco”, di don Annunzio Gandolfi, che si può leggere collegandosi anche da qui…)…. Ma, come potete leggere, anche gli inglesi hanno raccontato una storia molto simile…., forse la stessa!

di Piero Antonacci

 

Nel corso della guerra, in Libia gli scontri tra soldati inglesi e italiani erano purtroppo continui. I morti e i feriti restavano sul terreno, e di notte uscivano infermieri per portare aiuto a chi era ancora in vita.

Uscivano dalle proprie linee anche pattuglie armate per osservare da vicino le linee e postazioni nemiche ed accertare eventuali mutamenti di posizione.

Una notte, una pattuglia inglese in uscita fu attratta da sommessi lamenti che provenivano da un avvallamento del terreno. La pattuglia si avvicinò: gli uomini avevano le armi spianate perchè ci si andava avvicinando alle linee italiane ed era una luminosa notte di luna piena.

Quando giunse sul posto, la pattuglia scorse un ufficiale italiano moribonda steso a terra e, accanto a lui un soldato inglese che lo assisteva amorevolmente. Al di là dei due, dalla parte opposta si udivano dei sommessi rumori. Gli inglesi si buttarono a terra pronti a sparare ed avevano la netta sensazione che dall’altra parte, molto vicino, ci fossero soldati italiani acquattati sul terreno. Ma non fu sparato un solo colpo e gli inglesi non seppero mai se veramente di fronte a loro vi fossero gli italiani.

Intanto, l’infermiere inglese continuava ad assistere il moribondo. Questi gli fece segno di volersi sollevare e poi lentamente si sfilò la cinta e gliela diede. Poco dopo l’italiano morì. L’inglese gli chiuse gli occhi e, carezzandolo sulla fronte, ritornò verso le proprie linee, seguito dalla pattuglia armata.

Al rientro, gli uomini della pattuglia chiesero all’infermiere cosa gli aveva dato il moribondo, e perchè egli aveva corso il rischio di farsi ammazzare per assisterlo.

L’infermiere mostrò la cinta ricevuta che aveva una fibbia scout e disse: “That italian was my brother, he was a scout as i am” (quell’italiano era mio fratello, era uno scout come me).

Eravamo ragazzi e rimanemmo piuttosto colpiti da questa storia, tanto che Salvatore, non appena potè farlo, scambiò la sua fibbia di scout italiano con quella di un greco che incontrammo in un campo del Gargano.

In seguito, man mano che gli anni passavano, ci dicevano che in quella storia vi era troppa retorica, e che sembrava proprio creata apposta per evidenziare la fraternità scout.

Tanto più che all’epoca del fascismo non era probabile che un ufficiale italiano portasse una fibbia scout.

Ma, anche con questi dubbi, Salvatore continuò sempre a usare la sua fibbia greca, simbolo della fraternità internazionale scout. Tanti anni dopo, in un Seminario di Animazione, mi stupii quando Ernesto Marcatelli di Roma mi raccontò una storia simile e, poi, stranamente ritrovai il racconto in un libro di don Annunzio Gandolfi (“Fuoco di bivacco”), che lo narra come visto e vissuto non dalla parte degli inglesi, ma da quella degli italiani.

Quando ne parlai a Salvatore egli trovò nel racconto di don Annunzio la conferma della storia del capitano Willy: “dunque il capitano non diceva fesserie! Quella notte — diceva — attorno al moribondo e all’infermiere vi erano veramente soldati nemici. Perchè non fu sparato un colpo? Non lo sapremo mai: Fu il rispetto per la morte incombente, o forse il comportamento dell’infermiere inglese, in ginocchio accanto al morente, a bloccare le dita dei soldati sui grilletti delle armi”.

A questo punto, il racconto non è solo una storia di fraternità e di umana solidarietà, ma mostra anche come le azioni nobili e buone possano essere compiute pure nei momenti più duri e difficili, perfino quando imperversa la furia omicida, e destano sempre un ammirato stupore.

E se poi si tratta di una fibbia inventata, di un mito o di una leggenda, bisogna riconoscere che è proprio una bella fibbia.

Il mito è sempre espressione fantastica di un valore tanto sentito da voler essere rappresentato concretamente nella sua veste migliore.

Se la storia della fibbia è un mito, la fraternità scout è realtà insopprimibile.

il racconto è stato scritto da Piero Antonacci

               in “La nostra strada”, periodico della Comunità MASCI  “Daunia”

                                                                   di San Severo (FG), Marzo 1993.

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