“O Uomo, chiunque tu sia e da qualunque luogo tu venga: io sono Ciro, signore di molti re e di molti regni! Non invidiare il mio potere terreno poiché polvere ero e polvere sono tornato”. Il ricordo si è impallidito, eppure permane ancora intatta l’emozione quando, molti anni fa, sull’altipiano iranico, mi si parò innanzi l’austero e imponente monumento funebre dell’imperatore persiano Ciro (VI sec. a.c.), il liberatore degli Ebrei dall’esilio di Babilonia. Di fronte agli alti gradoni che salivano fino alla monumentale camera sepolcrale a forma di sarcofago, mi venivano in mente le parole del Secondo Isaia che scriveva: “Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: Io l’ho preso per la destra… Io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo sebbene tu non mi conosca…” ( si legga Isaia 45,1-8). Ora, all’interno di quella sala funeraria, ove giacciono le spoglie di Ciro, sono incise le parole che sopra abbiamo tradotto e che vorremmo fossero per qualche istante meditate. Potere, fama, gloria, successo sono sfioriti e divenuti cenere nel silenzio di quell’altipiano circondato da monti aspri e solitari. Fra un Secolo che cosa sarà mai del ricordo di noi e di ciò che abbiamo fatto? Un pensiero severo e aspro ma vero, destinato a ciascuno di noi “chiunque sia e da qualunque luogo venga”. Ma per il cristiano c’è anche uno spiraglio di luce che si apre oltre alla morte e la cenere e che è affidato alle capacità e alla fede di scoprire una guida divina: essa conduce il giusto per mano sul “sentiero della vita”, senza “abbandonarlo nel sepolcro e lasciarlo nella corruzione”. (Salmo 16,10-11).
Gianfranco Ravas